20 giugno 2022
20 giu 2022

“Non posso difendere la guerra in nome di Dio”

“Non posso difendere la guerra in nome di Dio”
 Il card. Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, in questa intervista afferma che la guerra in Ucraina è anche "un tragico messaggio per il cristianesimo".
di  Ingo Brüggenjürgen
Testimoni
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Signor cardinale, se dovesse trarre una conclusione provvisoria: come si presenta attualmente l’unità dei cristiani?

 Dipende di quali cristiani si parla. Abbiamo due sezioni nel nostro Pontificio Consiglio, la sezione Est e quella Ovest. Ciò risale ai vari scismi, prima nel V e XI secolo tra Oriente e Occidente, e alle divisioni del secolo XVI nella Chiesa d’occidente. I due dialoghi sono molto diversi. Oggi, naturalmente, in primo piano è il dialogo con l’Ortodossia che si trova in una situazione molto difficile a causa della guerra in Ucraina.

-Lei ha detto che molta gente guarda con grande preoccupazione all’Ucraina. Ci sono cristiani da entrambe le parti e dei capi di Chiesa di ambedue le parti che mandano anche i cristiani a combattere. E oggi sono cristiani che combattono contro cristiani; sì, anche ortodossi che combattono contro ortodossi. Questo è un messaggio sconfortante per tutto il cristianesimo nel mondo.

Sì, è una tragedia particolare, proprio perché il Patriarcato ortodosso russo ha continuamente ripetuto di sentirci obbligati a proteggere i cristiani e che dobbiamo insorgere contro la loro persecuzione. E oggi sono i cristiani che combattono contro i cristiani; sì, anche gli ortodossi che combattono contro gli ortodossi. Questo è un messaggio tragico per tutto il cristianesimo mondiale.

Quali possibilità ha una diplomazia cristiana? La diplomazia, soprattutto nella Chiesa cattolica, ha secoli di esperienza.

Sì, ciò è molto importante. Soprattutto, che ci sia accordo sul fatto di essere al servizio della pace. Pertanto, come ha detto papa Francesco, il Dio cristiano è un Dio di pace e non un Dio di guerra. E io non posso favorire e sostenere la guerra e sostenerla in nome di questo Dio cristiano. È una posizione non cristiana.

Molti cristiani avevano nutrito grandi speranze dopo l’incontro tra il Patriarca Cirillo e il Papa nel 2016. C’è il dialogo. Lei stesso si era adoperato dietro le quinte affinché ci  fosse una video-conversazione a questo scopo. Si può davvero ancora parlare di dialogo nella situazione attuale?

Non bisogna mai interrompere il dialogo, perché è l’unico modo per far conoscere la propria posizione. E papa Francesco ha detto molto chiaramente in questo video di essere riconoscente per questo incontro. Ha aggiunto: non siamo chierici di Stato, siamo pastori del popolo e pertanto non abbiamo altro messaggio che mettere fine a questa guerra. È stato un messaggio molto chiaro. Non posso giudicare se il patriarca l’ha inteso in questo modo.

Ha ancora speranza che questo dialogo porti frutto?

Non rinuncio mai alla speranza che porterà frutto. Ma penso che dobbiamo alla fine discutere di un problema che nei dialoghi abbiamo sempre lasciato al margine: è il problema del rapporto tra Chiesa e Stato. Su questo punto, esiste una concezione del tutto diversa. In Occidente abbiamo dovuto imparare attraverso gli sviluppi teorici e abbiamo anche imparato che il rapporto appropriato tra Chiesa e Stato è la separazione con un partenariato allo stesso tempo alla pari da ambedue le parti.  Questa è una concezione sconosciuta in Oriente, nell’Ortodossia. Si parla in essa di sinfonia tra Chiesa e Stato. E questa concezione è molto radicata. Penso che Oeldemann, direttore dell’Istituto ecumenico di Paderborn, abbia affermato molto chiaramente in un articolo sulla KNA (Agenzia di stampa cattolica tedesca) che questo concetto in seguito agli sviluppi della guerra in Ucraina, ponga degli interrogativi.

Quindi c’è ancora molto lavoro da fare. Un problema che le sta a cuore è l’unità dei cristiani. Come lo vede? A volte non si sente scoraggiato quando si trova  in un viaggio che dura da così lungo tempo e si rende sempre conto che non si stanno davvero facendo dei progressi?

Quando, dieci anni fa, ho accettato questo incarico, mi sono scelto  un patrono speciale, cioè Mosè. Perché Mosè ha guidato il suo popolo ovunque, anche attraverso il deserto, e non aveva altro compito che di condurlo nella terra promessa. Ma lui stesso non ha mai potuto entrarvi.  Nonostante ciò non si è mai arreso. E io penso che la terra promessa che sta davanti a noi sia l’unità dei cristiani. Non credo di poterla vedere nel corso della mia vita. Ma  questo non significa che ci si debba arrendere. Non c’è altra alternativa. L’unità dei cristiani è volontà del Signore. E noi dobbiamo essergli obbedienti, per cercare di ritrovare nella storia questa unità infranta.  Non possiamo fare questa unità da soli. È significativo che Gesù non chieda l’unità nella sua preghiera sacerdotale nel capitolo 17 del Vangelo di Giovanni, ma preghi per essa. E perciò non possiamo fare nulla di meglio che pregare e lottare per questa unità, sapendo che è un dono da ricevere. Ma investendo tutte le nostre forze e poi sentirci in senso evangelico dei servi inutili.

C’è anche il detto di Cristo “Siano una sola cosa “. Lei stesso ha scritto nel suo stemma che Cristo deve avere il primato su tutte le cose. Perché allora i cristiani sono, per così dire, così restii nel muoversi?

Ho l’impressione che non tutti i cristiani vogliano davvero l’unità o che abbiano idee molto diverse su di essa. Penso che ci siano differenti concezioni dell’unità. La Chiesa cattolica ritiene che dobbiamo trovare l’unità nella fede, nei sacramenti e nei ministeri. Ci sono inoltre altre idee del tutto diverse.  Non poche Chiese nate dalla Riforma ritengono che noi riconosciamo reciprocamente tutte le realtà ecclesiali che esistono come Chiese. La somma di tutte queste Chiese esistenti costituisce l’unica Chiesa di Cristo.

Sono idee molto diverse ed è per questo che dobbiamo rendercene conto in un modo completamente nuovo: cosa vogliamo davvero? Qual è l’obiettivo? Infatti se, per esempio,  ti trovi all’aeroporto di Francoforte e non sai dove vuoi andare, non devi stupirti se atterrerai a Madrid e non a Roma, ed è un vero peccato. E allo stesso modo, penso che dobbiamo renderci nuovamente conto di quale sia l’obiettivo. Dove vogliamo andare? Solo così possiamo programmare i prossimi passi.

Cos’altro può fare la Chiesa cattolica in particolare per quanto riguarda l’unità? Il cambiamento è sempre molto importante per noi. Dove possiamo forse cambiare perché ci possa essere un riavvicinamento più deciso?

La Chiesa cattolica ha ancora molto da imparare su cosa significhi vivere un’unità nella diversità. E altre Chiese, credo, devono pensare cosa voglia dire cercare l’unità nella loro diversità, – cioè questo equilibrio permanente. Blaise Pascal una volta ha scritto nei suoi Pensieri  (Pensèes): “L’unità che non dipende dalla molteplicità è dittatura. La molteplicità che non dipende dall’unità è anarchia. Noi  dobbiamo di continuo cercare e trovare la strada  tra la dittatura e l’anarchia”.(KNA, 8 aprile 2022)

 

Testimoni è una rivista mensile, del Centro Editoriale Dehoniano, con sede in Italia, a Bologna. La sua tiratura attuale è di circa 4.000 copie. Essa è anche online.

È una rivista di informazione, spiritualità e vita consacrata. Da oltre 35 anni si pone al servizio della vita consacrata con speciale attenzione all’attualità, alla formazione spirituale e psicologica, alla informazione sugli avvenimenti più rilevanti della Chiesa e degli istituti religiosi maschili e femminili.

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