Questo articolo esplora il ruolo profetico della vita consacrata come segno di speranza in un mondo in crisi. Appoggiandosi alle parole di Papa Francesco e alla tradizione ecclesiale, afferma che la speranza cristiana, radicata nel Cristo risorto, dà slancio all’impegno quotidiano e orienta verso l’eternità.
Nella sua lettera apostolica per la proclamazione dell’Anno della Vita Consacrata (2015), Papa Francesco ha indicato tre grandi obiettivi. Il terzo era: «abbracciare il futuro con speranza». Il Papa era pienamente consapevole dei numerosi ostacoli che la vita consacrata stava affrontando — e che ancora oggi persistono: la diminuzione delle vocazioni e l’invecchiamento dei membri, soprattutto nel mondo occidentale; le difficoltà economiche legate alla crisi finanziaria globale; le sfide dell’internazionalizzazione e della globalizzazione; le trappole del relativismo; la marginalizzazione sociale e la perdita di influenza.
Sebbene queste incertezze pesino fortemente e possano portare allo scoraggiamento o alla frustrazione in coloro che si sono donati a Dio, è proprio in queste difficoltà che si manifesta la nostra speranza, frutto della fede in Colui che continua a dirci: «Non aver paura, perché io sono con te» (Ger 1,8).
Il Papa aggiungeva inoltre che «la speranza di cui parliamo non si basa sui numeri né sulle opere, ma su Colui nel quale abbiamo posto la nostra fiducia e per il quale “nulla è impossibile”» (Lc 1,37). È questa la speranza che non delude e che permetterà alla vita consacrata di continuare a scrivere una bella storia nel futuro. In verità, la vita consacrata è feconda quando respira gioia e speranza.
La speranza è necessaria
Lo scrittore André Malraux affermava che «un mondo senza speranza è irrespirabile». Questa verità evidente è illuminata anche dalle parole di Alvin Toffler, secondo il quale «il pessimismo permanente è un sostituto del pensiero». Dove regnano la tristezza o la depressione, non può esserci posto per la speranza. Ma essa rinasce non appena si accende una luce nella nostra mente.
L’essere umano, infatti, non può accontentarsi di sopravvivere o di vivere alla giornata, né rassegnarsi al presente appagandosi solo di realtà materiali. Questo atteggiamento ci chiude nell’individualismo e corrode la speranza, generando una tristezza silenziosa, nascosta nel fondo del cuore, che finisce per renderci amari e impazienti.
La speranza, invece, è molto più di un’attesa passiva: è una forza che trasforma la società. Come energia proiettata verso il futuro, è creativa, audace, sognatrice. Sperare significa voler andare oltre, rifiutare di accontentarsi di ciò che è o di ciò che “è sempre stato così”.
Il dinamismo della speranza non ci sottrae alla storia, ma ci immerge in essa; non ci allontana dagli altri, ma ci apre al prossimo. Non ci rinchiude nel presente, ma ci proietta verso la novità definitiva dell’eternità.
Sperare significa camminare incontro al Signore, impegnandosi ogni giorno nella costruzione di un mondo più giusto e fraterno.
Il cardinale Eduardo Pironio, con straordinaria lucidità, osservava che viviamo in un mondo prematuramente invecchiato. Egli affermava:
«Abbiamo vere ragioni per essere preoccupati e tristi: il mondo, la Chiesa, le comunità religiose non stanno bene. Ma c’è un’unica ragione fondamentale per rimanere nella gioia e non perdere mai la speranza: Cristo è risorto e prolunga la sua Pasqua tra noi fino alla fine dei tempi.»
Questa è la grande motivazione che deve alimentare la nostra speranza.
Vita consacrata: profezia di speranza
La speranza è naturalmente orientata all’escatologia, perché è lì che trova il suo pieno compimento. Infatti, «questa speranza, ben più profonda delle soddisfazioni quotidiane o del miglioramento delle condizioni di vita, ci fa superare le prove e ci chiama ad avanzare senza perdere di vista la grandezza del fine a cui siamo chiamati: il Cielo».
La Costituzione Lumen Gentium afferma che «la restaurazione promessa che attendiamo è già iniziata in Cristo, progredisce per l’azione dello Spirito Santo e, per mezzo suo, continua nella Chiesa. In essa, la fede ci illumina sul senso della nostra vita temporale e, nella speranza dei beni futuri, compiamo la missione che il Padre ci ha affidato, operando per la salvezza del mondo.»
In questa prospettiva, le persone consacrate —chiamate a seguire Gesù e ad incarnare il suo stile di vita— mettono in evidenza la dimensione escatologica della loro esistenza. Con la loro stessa vita testimoniano il Regno già inaugurato in Gesù Cristo (Mc 1,15), che troverà il suo compimento nella Parusia (1 Cor 15,19-28).
Il Concilio Vaticano II sottolinea che «lo stato religioso, liberando i suoi membri dalle preoccupazioni terrene, manifesta più chiaramente ai fedeli i beni celesti già presenti in questo mondo; testimonia la vita nuova ed eterna acquisita dalla redenzione di Cristo e annuncia la futura risurrezione e la gloria del Regno celeste.»
Così, la vita consacrata è chiamata a incarnare le tre dimensioni fondamentali della speranza cristiana:
• la ricerca del definitivo (tensione escatologica);
• l’impegno quotidiano nella storia;
• la fiducia incrollabile nel Cristo risorto.
Quando questi elementi si incontrano, la vita consacrata diventa un grido profetico: che il Regno di Dio è già all’opera in mezzo a noi. Ma diventa anche sorgente di speranza, risvegliando nei credenti la fame dell’eternità, chiamando alla fiducia in Dio, alla fraternità e all’impegno per la trasformazione del mondo.
Sentinelle della speranza
Concludo questa breve riflessione con le parole ispiratrici del cardinale Pironio:
«Installarsi nel tempo è peccare contro la speranza. Perché siamo stati fatti per la vita eterna. Non abbiamo quaggiù una città permanente. La nostra vera patria è nei cieli. Nell’attesa, viviamo “nell’attesa beata” (Tt 2,13). Il nostro atteggiamento fondamentale, come pellegrini, non consiste solo nell’aspirare ai beni eterni e nel disprezzare o ignorare quelli temporali, ma nel vivere in stato di vigilanza: in un atteggiamento di preghiera, praticando la carità e facendo fruttificare i nostri talenti, in un’attesa ardente e attiva del Signore che viene.»