28 settembre 2023
28 set 2023

Di conversione in conversione

La vita religiosa è in continua evoluzione. Si perfeziona di crisi in crisi e di conversione in conversione.

di  FRANÇOIS BUSTILLO OFM Conv.
Testimoni

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In questo XXI secolo, la vita religiosa vive una tappa unica per riscoprire il sale della profezia. In mezzo alle crisi sociali ed ecclesiali, coloro che hanno scelto di donare la propria vita al Signore e agli altri avvertono tensioni interne. Da una parte le istituzioni ci segnalano un calo delle vocazioni e un aumento dell’età canonica dei religiosi e delle religiose, dall’altro, di fronte a questa fredda osservazione statistica, emergono nuove realtà per rispondere in modo radicale alle sfide del nostro mondo. Il punto della vigilanza sta, a nostro avviso, nella capacità evangelica di leggere i segni dei tempi con saggezza. A volte nascono nuove intuizioni, che vogliono essere fari che illuminano ma che sono solo sintomi di reazione e di opportunismo volontarista, volendo salvare la vita religiosa ma rischiando di seppellire il Vangelo. Così, il nostro tempo ci chiede di allontanarci da una visione legata alla rabbia, alla fatica, al messianismo ingenuo e alla paura, per vibrare e vivere con gioia la vocazione e la missione. Tra comodità e fatica emergono in modo rischioso e caricaturale due visioni della vita religiosa. Così alcuni leggono la situazione della vita religiosa in Occidente in modo binario e, quindi, pericoloso. Attualmente la vita religiosa non ha bisogno né di una relazione faccia a faccia né di una relazione corpo a corpo, ma di una relazione cuore a cuore. Le persone religiose sanno che la fraternità amorevole è il loro «ecosistema sostenibile». È da qui che possiamo ‘passare all’altra sponda’, come Gesù diceva spesso ai suoi discepoli. Passare all’altra sponda non significa fuggire da una realtà dura o cercare una sponda più facile. Si tratta di ascoltare la voce di Gesù che spinge verso un’audace mobilità carismatica. Lo scopo di questa riflessione sulla vita religiosa è mettere al centro l’amore. Nei capitoli canonici, negli incontri tra religiosi, è del tutto naturale parlare di numeri, questioni di logistica, missione, futuro, vita spirituale, gestione delle persone e delle strutture. La tragedia, ci sembra, è che non affrontiamo l’amore nella vita religiosa. Le persone religiose si amano? Si sostengono a vicenda? Mostrano questo amore al mondo ? Aiutano la Chiesa a essere più gentile e amorevole?

Sono necessari punti di vigilanza

Sappiamo fin dalla nostra formazione iniziale che la paura, l’incoscienza e l’ignoranza non sono buoni consiglieri. Viviamo in un periodo particolare con i suoi punti di forza e di debolezza, con i suoi pericoli e sfide. Questo periodo è nostro. È oggi che rispondiamo alla nostra vocazione. Il passato non c’è più e il futuro non è ancora. Tuttavia, il patrimonio ecclesiale ci invita a non trascurare la storia – historia magistra vitae – e a prepararci per il futuro, poiché governare è prevenire. È nel presente che viviamo la nostra responsabilità operando delle scelte. Decidiamo di evitare i pericoli, decidiamo di scegliere la vita e decidiamo di affrontare le sfide. Ognuno ha la propria coscienza e, nella vita religiosa, abbiamo la grazia di vivere con gli altri e di poter discernere e decidere in comunità. Il discernimento collettivo illuminato dallo Spirito Santo ci aiuta ad astenerci da scelte mortali. La vita religiosa naviga sulla barca della Chiesa e, con essa, supera le tempeste per raggiungere l’altra sponda. A volte, la vita perde la sua forza profetica, perde il suo sale (cfr Mt 5,13) quando rimane su una riva con l’attitudine al lamento. Di fronte alla tentazione di restare fermi, Gesù invita il suo popolo a passare verso l’altra sponda. Non si tratta di fuggire, ma di andare oltre per vedere altri orizzonti. L’altra sponda è il luogo delle cose nuove da scoprire. La profezia di Isaia ci incoraggia: Ecco, sto facendo una cosa nuova: sta già germogliando, non lo vedi? Sì, aprirò strade nel deserto, fiumi in luoghi aridi (Is 43,19). Cerchiamo di discernere, senza l’ambizione di voler dire e capire tutto, gli ambiti della vita religiosa odierna che rischiano, senza l’audacia di passare all’altra sponda, di atrofizzarsi, e gli ambiti essenziali della nostra vita religiosa che inaridiscono se non diamo loro nuova forza.

Noia e vuoto

La necessità di cambiamento nasce dalla consapevolezza che la vita religiosa è minacciata non da pericolosi nemici esterni, ma da nemici interni. Le comunità in quanto tali e le persone religiose nella loro vita personale talvolta soffrono i colpi della noia e del vuoto. Questi colpi si traducono in una stanchezza carismatica, in assenza di passione, in un sinuoso radicamento nel comfort. Molti autori associano il vuoto alla pigrizia. Kierkegaard diceva che la pigrizia è la sorella del vuoto. Nelle vite vuote e noiose il desiderio è assente. Ora, senza desiderio, senza questa forza interiore, senza il motore dell’anima, come diceva san Bonaventura, il religioso si ritrova atrofizzato. Il desiderio innesca un movimento interiore verso la vita e verso l’eccellenza. Il desiderio è una tensione positiva che spinge il religioso a superare se stesso, a costruire, a cercare in Dio la sua pienezza. Questo movimento interiore, legato alla volontà, alla libertà, all’intelligenza, allo slancio del cuore, viene da dentro ma si manifesta esternamente attraverso le azioni. E, proprio i fatti, le conquiste, incoraggiano l’uomo a continuare il progresso della propria vita e di quella degli altri. L’ostacolo in questo slancio viene dalla perdita del gusto nella vita religiosa. Funzioniamo, facciamo cose, svolgiamo compiti, ma manca il sale. Tu sei il sale della terra. Questa affermazione di Gesù è complessa e affascinante. Il sale, il gusto, la passione non devono limitarsi agli anni della prima giovinezza nella vita religiosa. A un certo punto, lungo il percorso, le comunità sperimentano stagnazione e abbandono. La stanchezza carismatica spinge le persone a dimettersi, ad agire in una sorta di missione basata sul “minimo sindacale”. La noia e il vuoto sono il frutto di vite amorfe, insipide, monotone e noiose. Allora i religiosi/e sprofondano nello sconforto, nel disinteresse, nella stanchezza, ecc. Questo panorama non è affatto attraente. Questa non è la ‘vita’ delle persone religiose. Le sagge parole del salmo riorientano la vita religiosa verso una trasfigurazione: Chi guarda verso di lui risplenderà, senza ombra né turbamento sul suo volto. Un povero piange; il Signore ascolta: lo salva da tutte le sue angosce (Sal 33,6-7).

Purificare le motivazioni vocazionali

Chi non ha sentito dire: “abbiamo poche vocazioni”, “non abbiamo più vocazioni”, “è triste, i giovani non vogliono più consacrarsi a Dio”? Papa Francesco lo ha ribadito nell’omelia della Giornata della Vita Consacrata del 2021, mettendo in guardia dal diventare maestri e dottori dei lamenti. Nei nostri capitoli provinciali o generali la questione vocazionale viene trattata sistematicamente. Il futuro della vita religiosa è Cristo, ma le vocazioni garantiscono la continuità di un carisma nella storia. Può accadere che la constatazione della mancanza di fecondità susciti il ​​desiderio di favorire le vocazioni. Allora è grande la tentazione di organizzarci in commissioni per favorire le vocazioni. Un capitolo nomina un responsabile della pastorale giovanile e vocazionale, i giovani religiosi vengono scelti per elaborare un piano d’azione: una sorta di “operazione di seduzione” per attirare i giovani e ottenere vocazioni. Questo punto di partenza è naturale quando un capitolo o una famiglia religiosa si rende conto che la dimensione vocazionale è decisiva per la vita. La tentazione del re Davide durante il censimento (cf. 2 Sam 24,2) può manifestarsi in diverse forme. Contiamo le nostre truppe, a volte siamo scoraggiati, altre volte orgogliosi. Nei conti e nelle cifre, la vita religiosa deve essere casta. L’animazione vocazionale è già una certa forma di fallimento. Se l’animazione serve per uscire dalle nostre case per testimoniare e vivere la missione, questa azione è meravigliosa. Se invece dobbiamo immaginare tattiche di “reclutamento” come fanno le imprese, l’esercito o altre associazioni, questa azione rivela una forma di fallimento della visibilità e della credibilità della vita religiosa. Se il sale diventa insipido, come possiamo restituirgli il sapore? Per molto tempo l’animazione vocazionale ha cercato di “avere” vocazioni. È interessante analizzare il bisogno di vocazioni dei religiosi. Dietro la motivazione spesso si nasconde un interesse più o meno dichiarato. È fondamentale porsi la domanda sulle motivazioni: “Perché vogliamo vocazioni”: Per mantenere una comunità? Per dare continuità al “business di famiglia”? Per rassicurarci? Per avere persone che ci aiutano nel nostro lavoro? Essere più forti del vicino che lotta? A volte, con una certa leggerezza, alcuni credono che il problema sia nel mondo, tra i giovani: “i giovani sono cambiati”, “non vogliono più donarsi”, “non hanno il senso della fedeltà e della durata nel tempo”, “la società dei consumi distrae i giovani” ecc. Senza dubbio, alcuni giovani si trovano in queste situazioni. Ma davvero crediamo che il problema sia solo esterno? La perdita di una vita significativa che causa vite insipide è colpa degli altri? del mondo? della società? Noi pensiamo di no. Una vita autentica e significativa fa sempre appello al di là del quadro sociale. Autenticità e gioia attraggono coloro che cercano significato. In tempi di crisi e instabilità, vite stabili e solide attraggono e rassicurano. La pienezza di una vita felice – perché totalmente donata – interpella le coscienze.

Radicalità e rigidità

Rigidità e radicalismi sono molto presenti nella vita ordinaria della nostra società. Negli ambienti politici e religiosi il fondamentalismo e l’intransigenza sono manifesti e preoccupano. La società moderna ha una tendenza quasi naturale al radicalismo ideologico. Gli estremi e gli estremisti stanno guadagnando slancio. Così, modi di vivere vicini al fanatismo si radicano nella società. Si tratta, senza dubbio, di una reazione appassionata alla debolezza emotiva e alla mancanza di ideali del nostro tempo. Vediamo comportamenti sociali che non sono adeguati. I giovani che bussano alle porte delle comunità religiose arrivano con il loro bagaglio culturale ed emotivo. Nel XXI secolo è raro, salvo carenze umane e spirituali, vedere un giovane psicologicamente equilibrato desiderare di entrare nella vita religiosa per sistemarsi, trovare un letto, avere cibo garantito, incontrare persone con cui trascorrere del tempo, vivere un ritmo di pregare e trarre beneficio dalle attività per tenersi occupati.

Molti giovani sono pieni di sete di assoluto e, naturalmente, vorranno donarsi in modo radicale. Emergono dalla mediocrità di un mondo insipido per trovare il sale del Vangelo. Ascoltiamo la loro sete? Sono felici quando vedono una reale ricerca di radicalità. Arrivare alla radice di un’intuizione spirituale è un segno incoraggiante e salutare. Senza un forte ideale di mobilitazione della gioventù che stimoli il presente e il futuro, la vita rischia di lasciarsi trasportare dalla corrente, cioè dall’agio, dalla paura o dalla pigrizia. Tuttavia, nella nostra società degli estremi, è importante discernere attentamente. A volte il desiderio di radicalità si trasforma in rigidità. In certi casi, la constatazione del ricco patrimonio spirituale di una famiglia religiosa non valorizzato e non vissuto può provocare forti reazioni. Così la ricerca serena della radicalità, per cambiare una vita religiosa piatta e troppo quieta, può suscitare delusioni e frustrazioni che si trasformano in reazioni rigide. La rigidità è pericolosa perché può diventare settaria. Alla radice della rigidità c’è sempre la sofferenza. E la sua espressione relazionale si manifesta con una forma attiva di violenza verbale e comportamentale o con una violenza passiva chiusa nel silenzio del disaccordo o della punizione. Tuttavia è difficile ammettere che abbiamo scelto la rigidità. Scegliere la rigidità significa scegliere un’ideologia e, come sappiamo, l’ideologia non ha cuore. La gente dirà di voler essere radicale e autentica, fedele al carisma del fondatore… Nella sequenza della Messa di Pentecoste troviamo questa sublime preghiera che chiede allo Spirito Santo: “ammorbidisci ciò che è rigido”. Tuttavia, queste reazioni di rigidità non dovrebbero essere trascurate. Sarebbe facile dire: “questi giovani sono duri e rigidi, hanno una mentalità catara e purista” e noi li disprezziamo restando dritti nei nostri panni. Senza dubbio, le loro reazioni non sono adeguate, ma ci provocano riguardo al nostro stile di vita. Non è raro constatare, con una certa tenerezza, che i giovani sceglieranno lo stile di vita religiosa più radicale. Lo fanno quasi come in un’impresa sportiva. Preferiranno la disciplina più impegnativa. Lo fanno quasi come una dimostrazione di virilità per segnalare agli altri che non sono teneri. Dicono: “Sono andato a casa loro perché sono davvero fantastici!” Non stanno scherzando, sono reali! Nella loro scelta ci deve essere la forma: vestiti poveri, piedi nudi, velo o testa rasata, barba, niente soldi, audacia missionaria, insomma è necessario uno sguardo radicale per sostenere una scelta radicale. Queste scelte dimostrano che non vogliono condurre una vita banale e questo è molto nobile. Se i giovani reagiscono in questo modo è senza dubbio perché hanno trovato nella vita “classica” il contrario della loro ricerca. Cercavano la radicalità ma hanno trovato la banalità e vite molto confortevoli dove non manca nulla, dove tutto è programmato e organizzato. Hanno trovato uomini e donne religiosi gentili che non erano pronti a muoversi o ad evolversi. In tutti i discernimenti, per il bene di una famiglia spirituale, sia essa numericamente povera ed economicamente ricca, oppure ricca di vocazioni e povera di esperienza ecclesiale, è importante, ci sembra, porsi la domanda: come sperimentare la vera libertà? Senza questa libertà spirituale, senza docilità allo Spirito, saremo, come abbiamo detto, nel tumulto umano delle tattiche e delle strategie, saremo prigionieri delle nostre paure, delle nostre strutture e del nostro spirito di sopravvivenza. Ma non saremo certo discepoli di Colui che veglia su di noi, del Dio della Provvidenza. Gesù vuole che siamo liberi e fiduciosi per costruire il suo Regno.

(Testimoni 10/2023)

Testimoni è una rivista mensile, del Centro Editoriale Dehoniano, con sede in Italia, a Bologna. La sua tiratura attuale è di circa 4.000 copie. Essa è anche online.

È una rivista di informazione, spiritualità e vita consacrata. Da oltre 35 anni si pone al servizio della vita consacrata con speciale attenzione all’attualità, alla formazione spirituale e psicologica, alla informazione sugli avvenimenti più rilevanti della Chiesa e degli istituti religiosi maschili e femminili.

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