16 gennaio 2024
16 gen 2024

Il Congo dopo le elezioni

Nella Repubblica Democratica del Congo, dopo le elezioni del 20 dicembre dello scorso anno, ci si aspettava lo scenario a cui si è arrivati in questi primi giorni del nuovo anno

di  Yanick Nzanzu Maliro
Settimananews

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Nella Repubblica Democratica del Congo, dopo le elezioni del 20 dicembre dello scorso anno – e va notato che si sono svolte nell’arco di tre o addirittura quattro giorni, in violazione della legge elettorale – ci si aspettava lo scenario a cui si è arrivati in questi primi giorni del nuovo anno.

Sebbene la campagna elettorale abbia dato l’impressione di una vera e propria competizione in cui avrebbe vinto il candidato migliore, abbiamo finito per confermare la famosa tesi secondo cui in Africa non si organizzano elezioni per perdere. Se alcuni Paesi hanno avuto il merito di fare un’eccezione – alludendo qui alla storia recente della Liberia, dove il presidente in carica è stato battuto dal candidato dell’opposizione – il caso del Paese di Lumumba, questa giovane democrazia di appena due decenni, è esemplare.

Non è stata una sorpresa, poiché la Commissione elettorale nazionale indipendente (CENI) aveva preparato psicologicamente il popolo congolese ad accettare e, in un certo senso, a ingoiare i risultati che avrebbe pubblicato al termine dello spoglio delle schede.

Pubblicando i risultati provincia per provincia, il popolo congolese, come se contemplasse il cielo, ha visto gradualmente la mappa del Paese riempirsi di blu – il colore scelto per identificare le province in cui Tshisekedi era il vincitore (e anche il colore ufficiale della CENI… forse è solo una coincidenza).

Con gli animi ben preparati, non è stata una sorpresa quando, il 31 dicembre, Félix Tshisekedi è stato proclamato vincitore delle elezioni presidenziali con il 73,32% dei voti espressi – un risultato che solleva dubbi sulla credibilità del processo elettorale in corso.

Ne è seguita un’ondata di manifestazioni. Da un lato, folle esultanti che festeggiavano la rielezione dell’uomo affettuosamente conosciuto come “Fatshi Béton”; dall’altro, manifestanti arrabbiati che denunciavano brogli elettorali e gridavano alla rapina. Va detto che, date le massicce irregolarità e i brogli che hanno caratterizzato questo processo elettorale, c’era motivo di dubitare della credibilità di queste elezioni.

Inoltre, a conferma dei dubbi sulla sua professionalità, la CENI dopo aver pubblicato i risultati provvisori – fermo restando che spetta alla Corte Costituzionale proclamare i risultati definitivi – ha invalidato i voti di ottantuno candidati alla deputazione nazionale con l’accusa di brogli, possesso illegale di macchine per votare, traffico di influenze e incitamento alla violenza.

Accuse che, per una mente ben informata, si ritorcono contro la stessa CENI e confermano quello che alcuni si affrettano a descrivere come caos elettorale. Noncurante della gravità di queste accuse, la Corte Costituzionale ha curiosamente confermato la rielezione del Presidente Félix Tshisekedi, una decisione che non solo mette in discussione la sua neutralità, ma solleva anche questioni fondamentali.

Se le schede elettorali, proprietà privata della CENI, venissero trovate per strada e nelle mani di soggetti privati, ci si interrogherebbe sulla serietà di questa istituzione che dovrebbe presiedere al futuro di un’intera nazione. E poi, questi candidati deputati sospesi dalla CENI, la maggior parte dei quali appartengono all’Union Sacrée (un conglomerato di partiti politici che sostengono il presidente Tshisekedi), non hanno forse votato anche per il loro candidato alla presidenza?

Convalidare una parte della scheda elettorale e invalidarne un’altra è esattamente ciò che si chiama “due pesi e due misure”, ed è la prova che il popolo congolese non viene preso sul serio. La CENI non è forse, in ultima analisi, una cellula creata da una parte politica per mantenere il proprio potere e minare così gli sforzi fatti finora da questa giovane democrazia? Il popolo congolese non ha forse diritto a vere elezioni?

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