18 gennaio 2018
18 gen 2018

I vescovi dehoniani a Roma

di  Radoslaw Warenda, scj

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È la terza volta che i vescovi dehoniani vengono invitati a radunarsi alla Casa Generalizia dei Dehoniani a Roma. Dal 18 al 23 gennaio, 21 vescovi si troveranno insieme per riflettere sulle sfide dell’evangelizzazione. Il tema trattato in modo ampio prende in considerazione diversi campi della vita: il lavoro, il creato, i giovani, ma anche il dialogo interreligioso e la questione urgente delle migrazioni. L’incontro è stato pensato soprattutto come piattaforma di condivisione e discussione.

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Nell’incontro precedente, che ha avuto luogo nell’anno della fede, è emerso il bisogno reale dei vescovi dehoniani di “bere dalla fonte della nostra spiritualità” vivendo, nel servizio vescovile, il servizio missionario dehoniano. P. Carlos Enrique Caamaño Martín SCJ – vicario generale – nell’introduzione ha aggiunto un altro scopo per l’incontro di quest’anno: “cerchiamo di leggere l’oggi, perché abbiamo la possibilità di aprirci al futuro. Perché la Chiesa diventi una casa aperta a tutti”.

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La sfida principale espressa nel discorso del superiore generale dei dehoniani (testo disponibile in allegato) è come trasmettere la gioia di essere credenti. Credenti oggi. Il background è esigente, perché dobbiamo farlo per la società che cerca di essere autosufficiente in tutto: “se tu sei intelligente, disciplinato e hai una modalità precisa, riesci a combattere il cancro, ad essere ricco, riesci ad avere un enorme successo”. Quindi, la sfida in dettaglio, chiamata dal generale “sfida soteriologica”, è infatti fare la salvezza di Dio. Lo stesso vale con la perdita della necessità della vita sacramentale e della necessità di un Dio salvifico. Non dobbiamo avere paura di predicare la vita dopo la morte, rivivere il carattere escatologico della vita e non pensare solo a come arrangiarsi qui rispettando la moralità cattolica. Il terzo fattore della sfida è quello di saper argomentare la fede di fronte ad altre religioni. Esiste un’icona del XXI secolo che potrebbe essere chiamata: “il cuore ferito”. Un’icona che parla e può dare una risposta spirituale ed esprimere tre dimensioni trascendentali di cui abbiamo bisogno: pulcrum, verum, bonum. Andiamo verso la capacità di oltretrapassare le apparenze esteriori per vedere la bellezza di ciascuno, questo è l’invito concreto di andare alle periferie.

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Alla fine del suo discorso, p. Heiner Wilmer SCJ ha proposto l’anno del “Cuore ferito”, che sarà annunciato nel 175° anniversario della nascita di p. Dehon, promulgato nella festa del Sacro Cuore e durerà fino al 2019.

Nella vivace discussione provocata dal discorso del p. Generale, mons. Wilson Tadeu Jönck ha fatto presente che “non siamo il gruppo trionfante che ha in possesso la verità. Se ci comportassimo così, saremmo persi. Sia la Congregazione, sia la Chiesa”. Mons. Carmo João Rhoden – vescovo emerito di Taubaté (Brasile) – ha messo in luce il fatto che l’uomo di oggi ha dimenticato che senza Dio è nudo. Forse ha perso anche la capacità di sentirsi nudo? Quale, secondo lui, è la sfida di oggi? “Essere discepoli prima di tutto noi stessi. Discepoli che si rendono conto del bisogno della formazione davvero permanente”.

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La sfida escatologica, cioè poter vivere la fede come relazione, che sarà in pienezza al di là di essa stessa, e non solo come fede che ci garantisce il benessere e la pace, sembra, per mons. Claudio Dalla Zuanna, molto urgente.

L’ex-superiore generale, mons. Virginio Bressanelli, si è riferito all’idea del “cuore ferito” che non può essere vista in modo negativo. “La ferita la sento in senso positivo, come una compassione. Anzi, sono contento di essere ferito. Infatti, non voglio l’altro mondo, non sono idealistico. Il dolore di Dio non è negativo. Il cuore è trafitto dal di fuori, ma aperto da dentro. Bisogna far riflettere la Congregazione su questo argomento, perché e il nostro specifico!”, ha detto mons. Virginio Bressanelli.

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La condivisione pomeridiana tra i vescovi dehoniani è stata animata dall’input offerto da mons. José Ornelas Carvalho sulle sfide pastorali nel mondo del lavoro. “Il nostro peccato più grande è quello di aver smesso di credere che possiamo trasformare il mondo”. Mons. Aloysius Sudarso ha presentato la relazione della Chiesa con l’Islam sulla base delle esperienze del mondo indonesiano e soprattutto della sua diocesi di Palembang. Ha contribuito anche il vescovo emerito mons. Virginio Domingo Bressanelli, riprendendo l’argomento dell’ultima enciclica di papa Francesco “Laudato si'”, parlando della salvaguardia del creato nella pastorale, basandosi soprattutto sulla realtà della Patagonia (Argentina).

Il clima dell’incontro è molto fraterno e fornisce l’occasione di rivedersi dopo tanti anni, cercando soprattutto di rafforzarsi nella speranza che lo stile dehoniano del cuore e mente aperti possa avere un influsso reale.

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