18 agosto 2021
18 ago 2021

Solo Lui non ebbe paura di venirmi a trovare

P. Jakub racconta la sua esperienza di forzato isolamento a causa del Covid-19.

di  Jakub Bieszczad, scj

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L’esperienza d’essere recluso nella stanza a motivo di Covid-19 ha la potenza di fiaccare un uomo contagiato. Oltre a un’oretta di passeggiata sulla terrazza del tetto, per diminuire la minaccia di trasmissione del virus ai confratelli, 16 m² di stanzetta limitano il mio mondo e solamente il collegamento dei media odierni (telefono, Internet) permette di superare la solitudine totale dovuta alla cura per il prossimo.

Da questa esperienza, quasi tenebrosa, che farebbe ricordare le condizioni della notta oscura di San Giovanni della Croce, benché il paragone sembri troppo audace, può nascere un’altra vicenda che porta la luce. Ovvero, cercando di stabilire qualche routine, qualche normalità di vita – perché solo così 40 giorni di quarantena possono non essere nocivi allo spirito del recluso forzato – si riescono a riprendere tante realtà della vita o dimenticate o già coperte da uno strato di polvere.

La messa celebrata ogni mattina (tranne nel fine settimana quando la posticipavo o per le pulizie fatte da solo o per viverla più solennemente) si prolungava nell’adorazione quando dopo la comunione, non assunte tutte le specie eucaristiche, sono arrivato a costatare che l’unico che non ha paura di venirmi a trovare dentro il mio mondo piccolo, arrangiato per l’emergenza sanitaria, è LUI – il Signore… Dentro la così deprimente avventura, il barlume della speranza, l’amore dell’unico che veramente può vincere la paura, la debolezza, la malattia… la morte.

Ecco una delle poche esperienze che rende l’esistenza del Signore irrefutabile, quando nessuno oltre Lui può placare un’esigenza vitale. Certo questo non significa che i confratelli e gli altri si siano dimenticati di me e per la paura mi abbiano spinto all’isolamento per scaricarsi del problema. Infatti, per esser giusto, va detto che questo era piuttosto l’attitudine degli uffici sanitari pubblici che si sforzavano d’indentificare il malato e isolarlo, senza preoccuparsi se lui si riprendesse. I miei prossimi e i miei confratelli erano non di rado, presso di me, gli apostoli della luce, della gioia e di vera cura. Anche la reciproca preghiera ci ha collegato nei primi giorni di novembre, quando io – ovviamente più disposto e fornito di più tempo – ho loro proposto che avrei pregato per i defunti di quanti me l’avessero chiesto.

Il tempo ricevuto ha aperto lo spazio anche alla profonda riflessione sulle questioni fondamentali ma anche sull’attuale vita del mondo. Durante la mia quarantena, la Corte costituzionale della mia patria (cioè della Polonia) ha confutato il motivo eugenetico dell’aborto come incoerente con la Costituzione Nazionale, una decisione che ha scatenato le proteste delle donne che sono diventate in un momento immuni al virus in quanto le paladine della libertà e dei diritti umani. Nello stesso tempo si criticava dappertutto le decisioni sul funzionamento della Chiesa nell’emergenza sanitaria: in Italia (dove la Costituzione assicura la sovranità della Chiesa nella propria attività) le chiese restavano chiuse per il decreto dello Stato; nella Polonia stessa (dove la separazione è solo molto vagamente determinata) c’era la misura ridicola di cinque persone in Chiesa a prescindere dalla loro grandezza. E spesso, per tanti, la Chiesa faceva troppo poco. A interpretare la realtà non aiutava, altrimenti giustissimo, il discorso dell’obbligo morale di osservare le misure sanitarie per la carità fraterna. Dalla prospettiva dell’isolato tale situazione è molto dolorosa in quanto anche le voci ecclesiastiche non erano concordi.

Si arrivava quindi a una costatazione che viviamo il tempo di una grande confusione che mescola i veri valori con i valori falsi; che confonde la verità con le notizie eccitanti ma, non di rado, non comprovate; e che infine, invece di seguire la verità (va detto lo stesso su quella veramente scientifica) e i veri valori umani, cede all’orgoglio e allo spavento che rendono incapaci di superare gli ostacoli nella via all’incontro col mio Amico, Fratello e Medico. Tutto, tuttavia, posso in Colui che mi dà la forza, perciò, né il confinamento né il vaccino né le misure adottate, addirittura dalla Chiesa, possono salvare l’uomo, ma solamente una vera solidarietà spinta spesso fino al sacrificio. Quindi la carità dovrebbe stimolare noi cristiani – fratelli universali e ognuno di noi a vincere il timore e l’arroganza e ricostruire non il mondo di prima ma il nuovo mondo dove regnerà solamente la buona novella dell’amore che vince tutto, e del sacrificio sopra del quale non c’è un amore più grande…

(Il nostro frutto 2021)

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