08 dicembre 2020
08 dic 2020

“Mentre pensava a queste cose”
(Mt 1,20)

Lettera di Natale 2020


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Cari confratelli e membri tutti della Famiglia Dehoniana,

lì, nella Nazareth di Maria e Giuseppe, tutto andava avanti senza particolari sussulti. Con il passare dei giorni stava arrivando il momento di condividere la loro vita, come era consuetudine tra la gente di quel villaggio. Ma un evento inaspettato ha alterato tutto: il Dio delle promesse si è avvicinato a loro in un modo che nessuno avrebbe potuto immaginare. Matteo e Luca danno un buon resoconto di quello che è successo lì. Ce lo ricordano sempre. Luca, concentrandosi un po’ di più su Maria; Matteo, su Giuseppe. Forse hanno fatto questa scelta perché nessuno dei due evangelisti voleva monopolizzare l’esclusiva. Entrambi hanno preferito condividerla, perché sapevano che la Buona Novella era, e continua ad essere, per tutti.

Luca ci rende partecipi di ciò che Maria ha vissuto quando è stata avvicinata dall’angelo di Dio. Il saluto che riceve la spaventa, ma non fugge da esso. Ascolta attentamente, pensando bene a ciò che ha appena sentito. Consapevole della sua piccolezza, cerca di capire e, per riuscirci, non trova modo migliore se non quello del dialogo umile e sincero. Solo allora decide. Accetta la chiamata a fare spazio in sé stessa per il Figlio che era stato annunciato. In quel momento Maria diventa un’oblazione: il suo grembo e il suo mondo si sono aperti senza riserve alla Vita.

E Giuseppe? Matteo lo presenta, letteralmente, come “l’uomo di lei”. Tuttavia, consapevole della condizione della sua promessa sposa e ignaro delle vie di Dio, ha scelto di “lasciarla andare”. Ma la sua decisione lo ha fatto sprofondare in un conflitto interiore. L’uomo “giusto” si trova tra la giustizia spietata che conosceva e ciò che voleva veramente. Sembra egli stesso insoddisfatto di ciò che aveva appena deciso. Infatti, alcune parole che l’evangelista usa per identificare ciò che Giuseppe intendeva fare sono pericolosamente vicine a quelle usate per descrivere le azioni di Erode e di Pilato: al primo, quando agisce “in segreto” contro il neonato re dei Giudei (cft. Mt 2,7); al secondo, “lasciando andare” il criminale e condannando il vero giusto, lo stesso re bambino che Erode tanto temeva (cfr. Mt 27,11.19.26).

Giuseppe non smetteva di pensare a quello che stava succedendo, come se volesse risolvere tutto in modo diverso. Proprio “mentre pensava a queste cose”, è accaduto l’imprevisto: Dio si è avvicinato a lui. Lo ha fatto nel momento in cui la condizione umana si apre senza cautela all’imprevedibilità dei sogni. Attraverso l’angelo, Dio ha confermato l’appartenenza di Giuseppe al suo popolo. Gli ha ricordato che è il figlio di Davide, non della Legge severa, né della paura. E in questo popolo, inoltre, gli chiede di rinnovare il suo legame con Maria, la donna docile allo Spirito.

A partire da lì, come un amico che condivide il suo intimo, Dio affida a Giuseppe ciò che ama di più: la vita di suo Figlio e la salvezza del suo popolo. Ma quell’uomo avrebbe saputo apprezzare tanto amore condiviso? Certo! La vicinanza, l’intimità e la fiducia che Dio gli ha mostrato sono state sufficienti, non solo a dissipare le sue paure, ma anche a ravvivare la sua speranza, il suo amore e la sua dignità. Quel sogno lo ha riparato dal profondo del suo essere; per questo, alzandosi, ha assunto senza esitazione il compito che Dio aveva lasciato nelle sue mani. Ha reagito – adesso sì – come un vero uomo giusto.

Accogliendo Maria, il Figlio nel suo grembo e il suo stesso popolo, Giuseppe ha anticipato l’insegnamento che Gesù avrebbe condiviso più tardi con i suoi discepoli: sono veramente giusti coloro che riconoscono, senza pregiudizi e con premura, l’imprevedibile volto umano di Dio, perché “tutte le volte che avete fatto ciò a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, lo avete fatto a me” (Mt 25,40). La soluzione alle incertezze di Giuseppe non è stata, quindi, quella di trascurare qualcuno. Al contrario, è passata per l’incontro con gli altri, con i più fragili e, soprattutto, nel lasciare che i sogni di Dio ricreassero la vita nella misura dell’insospettabile possibile.

Insieme, con la Parola nel grembo, Maria e Giuseppe hanno così dato casa alla misericordia e alla fedeltà di Dio. Con la Parola davanti agli occhi, la contemplavano e la meditavano con i poveri e gli estranei. Con la Parola tra le braccia, si unirono ai profughi e ai rifugiati. Con la Parola in mano, si sono fatti pellegrini con il loro popolo. Con la Parola custodita nel loro cuore, hanno vissuto senza misura il loro discepolato. Tale dedizione non è sfuggita all’attenzione di p. Dehon. Con loro imparò la via dell’abbandono fiducioso e grato alla volontà del Padre. Lì scoprì la scuola di ogni vita di amore e dedizione:

“I nostri pensieri devono essere costantemente rivolti a loro. Per la vita interiore, sono assolutamente i nostri modelli. Dobbiamo studiarli soprattutto nella preghiera. Dobbiamo sondare i loro sentimenti, i loro pensieri, i loro desideri, le loro gioie, i loro dolori, le loro volontà e adattare costantemente ad essi i nostri pensieri, le nostre parole, le nostre azioni, tutta la nostra vita”[1].

Tra il clamoroso sì di Maria e il silenzio entusiasta di Giuseppe, Gesù ha trovato una guida sicura verso il cuore del Padre e verso il cuore degli uomini e delle donne di tutti i tempi. Che momento opportuno per contemplare più da vicino questa famiglia! Che bella la compagnia che ci offrono per non rimanere sterili nella disperazione o bloccati nell’indifferenza! Non sono loro che ci spiegano come nessun altro la nostra stessa ragione di essere nella Chiesa e nella società? Se potessimo tenere un webinar con questa Sacra Famiglia nei prossimi giorni, e chiedere loro di raccontarci brevemente e in dehoniano ciò che è rimasto di tutto ciò che è accaduto loro, non sarebbe strano che, con uno sguardo caldo e un sorriso traboccante di tenerezza, ci dicessero in coro qualcosa del genere:

Abbiamo inteso la riparazione  come accoglienza dello Spirito (cfr. 1Ts 4,8), come una risposta all’amore di Cristo per noi, una comunione al suo amore per il Padre e una cooperazione alla sua opera di redenzione  all’interno del mondo[2].

Possa questo Natale essere riparatore per le nostre comunità, le nostre famiglie e il nostro mondo. Ne abbiamo bisogno. Che questi siano giorni di sguardi che si cercano e di cuori che si trovano. Lo auguriamo. Che la celebrazione dell’Emmanuel ci aiuti a vivere in gratitudine, non per il domani che non arriva, ma per l’oggi del possibile. Lo vogliamo. Che “mentre pensiamo a queste cose”, non smettiamo di fare spazio, e ancora di più quando è notte, ai sogni che Dio condivide con noi, perché molte cose possono e devono essere diverse. Lo desideriamo veramente!

A tutti voi, Buon Natale!
Fraternamente, in Corde Iesu,

Carlos Luis Suarez Codorniú, scj Superiore generale. e suo Consiglio

_____

[1] NTO 9140002/67 : « Notre pensée doit se porter sans cesse vers eux. Pour la vie intérieure, ils sont absolument nos modèles. Nous devons les étudier dans l’oraison principalement. Nous devons sonder leurs sentiments, leurs pensées, leurs désirs, leurs joies, leurs tristesses, leurs volontés et y conformer sans cesse nos pensées, nos paroles, nos actions, notre vie toute entière ».

[2] Cfr. Cst 23.


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