09 luglio 2021
09 lug 2021

La nostra vita spirituale (IV)Il principio e il centro della nostra vita

Presentazione a puntate della “Guida di lettura” delle Costituzioni, scritta da p. Albert Bourgeois.

di  P. Albert Bourgeois, scj

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1. Nova et Vetera

201  Questo principio e centro sono formulati con chiarezza e vigore al n. 17: “Discepoli di Padre Dehon, vorremmo fare dell’unione a Cristo nel suo amore per il Padre e per gli uomini, il principio e il centro della nostra vita”.

202  Questo numero riecheggia ciò che è detto al n. 6 riguardo all’intenzione specifica e originale di p. Dehon e riguardo al carattere specifico dell’Istituto: “Fondando la Congregazione degli ‘Oblati’… Padre Dehon ha voluto che i suoi membri unissero in maniera esplicita la loro vita religiosa e apostolica all’oblazione riparatrice di Cristo al Padre per gli uomini”.

203  Il testo delle Costituzioni del 1885 (riprendendo il testo primitivo del 1881) così si esprimeva: i religiosi della Congregazione “si sforzeranno di consolare (il Sacro Cuore), riparando le ingiurie che gli sono fatte e offrendosi a lui come vittime del suo beneplacito nello spirito di riparazione e di amore che è il loro carattere distintivo[1].

204  Con più sobrietà e con un modo di esprimersi più vicino al nostro nuovo testo, il testo delle Costituzioni latine (1906-1956) definisce “la vita d’amore’ e d’immolazione”: “qua Congregatio proprie distinguitur”, come “il modo migliore d’imitare la vita di Gesù Cristo, incessantemente immolata per gli uomini: vitam Christi, prò hominibus continue immolatam imitari” (n. 9).

205  Il nostro cammino spirituale si esprime sensibilmente nell’“offerta al Sacro Cuore”, nell’imitazione della sua vita immolata e, infine, nell’“unione al suo amore”. Il carattere “cultuale” dell’offerta sottolineato nelle Costituzioni del 1906-1956: “sacrificium, reparationem, laudem et amorem Domino exhibere intendentes” (n. 10) lo ritroviamo anche nel nuovo testo del 1979, al n. 22, ma l’orientamento è diverso.

206  Nella nuova formulazione l’unione a Cristo, che è il Cristo-Servo, Salvatore e Signore presentato ai nn. 9-12, è un’unione a Cristo nel suo amore e nella sua oblazione. Il suo amore, contemplato nel mistero del Costato aperto (cf. nn. 19-21) è un amore che “nel dono totale di sé ricrea l’uomo secondo Dio” (n. 21). La nostra oblazione è un inserirsi con e come il Cristo nel “movimento dell’amore redentore” (n. 21): è una “diaconia” (servizio) e come tale è cultuale. Così è stata la “diaconia” di Gesù nel compimento della sua missione (cf. Eb 10,5-10) o quella di s. Paolo nell’annuncio e nel servizio del Vangelo: è “il culto che rendo nel mio spirito” (Rm 1,9)…”, officiante (leiturgon) di Gesù Cristo presso i pagani, consacrato al ministero del vangelo di Dio, perché i pagani divengano un’oblazione che sia gradita a Dio, santificata dallo Spirito Santo” (Rm 15,16).

207  La prospettiva dell’“oblazione” come unione con Cristo non era certo assente ed estranea all’intenzione originale di p. Dehon. Nelle Costituzioni del 1885 leggiamo: “La vocazione dei Sacerdoti del Cuore di Gesù non si può concepire senza la vita interiore… Il carattere proprio della vita interiore dei Sacerdoti del Cuore di Gesù è l’unione al divin Cuore” (cap. VIII, par. 2, nn. 1 e 3, cf. STD 2, pp. 46-47). Questi testi sono ripresi nel Direttorio Spirituale (parte VI, par. 21).

208  Non sarebbe difficile accumulare le citazioni e i riferimenti riguardo a questa unione con il Cuore di Gesù per vivere e agire con e come lui.

209  Ma questa unione con il Cristo appare soprattutto in funzione della “vita interiore”, nella prospettiva della santificazione personale. Il testo delle nostre nuove Costituzioni è molto più chiaro e determinato e possiede un’insistenza che non lascia alcun dubbio sulla sua intenzione e il suo orientamento. Vi vediamo volentieri un tratto di quel “rinnovamento adattato” perseguito nella linea della “fedeltà dinamica” all’intenzione delle origini.

210  Il grande vantaggio è di caratterizzare “la nostra oblazione”, in se stessa, non solo come “un mezzo di perfezione” (imitazione) o un atto di “devozione”, ma come un vero “carisma”, che ci abilita per una missione nella Chiesa. La nostra oblazione può essere definita come un “carisma profetico” (n. 27), perché è unione all’oblazione redentrice e riparatrice di Cristo.

211  L’oblazione come “unione a Cristo nel suo amore e nella sua oblazione” è la forma che deve caratterizzare la “sequela Christi” dehoniana.

212  L’oblazione di p. Dehon è “unione intima al Cuore di Cristo…, adesione a Cristo che viene dall’intimità del (suo) cuore e si realizzerà in tutta la sua vita, soprattutto nel suo apostolato” (nn. 4-5).

213  La nostra vita religiosa e apostolica deve essere:

–   unita “all’oblazione riparatrice di Cristo al Padre per gli uomini” (n. 6);

–   “unione a Cristo nel suo amore per il Padre e per gli uomini, principio e centro della nostra vita” (n. 17);

–   una vocazione che ci chiama “a inserirci nel movimento dell’amore redentore, donandoci per i nostri fratelli con il Cristo e come il Cristo” (n. 21); un’offerta di noi stessi al Padre in solidarietà col Cristo e con l’umanità (cf. n. 22); “La Riparazione… come risposta all’amore di Cristo per noi, vissuta nella comunione al suo amore per il Padre e come cooperazione alla sua opera di redenzione” (n. 23);

–   inoltre l’offerta delle sofferenze… è come un’eminente e misteriosa comunione con le sofferenze e la morte di Cristo per la redenzione del mondo” (n. 24); in “tutto ciò che siamo, facciamo e soffriamo per il servizio del Vangelo, il nostro amore, tramite la nostra partecipazione all’opera della riconciliazione… consacra l’umanità per la Gloria e la Gioia di Dio” (n. 25).

214  Si può continuare la ricerca nei nn. 26, 27, 35, 38, 39…

215  L’unione a Cristo nel suo amore per il Padre e per gli uomini (nn. 17 e 23) è unione a Cristo nella sua oblazione al Padre per gli uomini (nn. 6, 21, 22, 24), e tutto questo in virtù della natura stessa dell’amore, dell’agape, della quale esperimentiamo “la presenza attiva nella nostra vita”. Da qui l’importanza, per un’autentica vita d’amore e d’oblazione, di una seria concezione teologica di questa carità che deve essere fondamento e luce della nostra vita spirituale SCJ.

2. Due testi

216  Per caratterizzare la nostra “esperienza e la nostra vita spirituale” il testo delle nuove Costituzioni ci rinvia a due citazioni di s. Giovanni:

–   1Gv 4,16: “Noi conosciamo, perché abbiamo creduto all’amore che Dio ha per noi” (n. 9),

–   Gv 15,4: “Rimanete in me, come io rimango in voi…” (n. 17).

217  Questi due versetti sono evidentemente un invito a meditarne il contesto: 1Gv 4,7-21 e Gv 15,1-17. Senza escludere evidentemente altri testi possibili (Ef 3,17-19 e 5,2 sono esplicitamente citati ai nn. 17 e 22), questi due testi di s. Giovanni sono ricchi di una profonda teologia della carità, della “presenza attiva dell’amore nella nostra vita”.

2.1. 1Gv 4,7-21

218  Senza farne qui un’analisi e un commento dettagliato, ne rileviamo il movimento e le articolazioni.

219  La “conoscenza” e l’esperienza vitale dell’amore di Dio che è amore (v. 7-8), la viviamo nell’essere amati. È l’esperienza che facciamo in Gesù e tramite Gesù, inviato e immolato (v. 9-10) e nell’atto di amare, esperienza che possiamo fare solo amandoci gli uni gli altri, perché questo amore che viviamo è Dio stesso che ama in noi e il suo amore in noi è perfetto (teteleiòméne) e, nello stesso tempo riconosciuto, ricevuto e operante (v. 11-12).

220  La “carità” (agape), al di là della pratica di una virtù, è il mistero della vita stessa di Dio che viviamo in Cristo e per mezzo di Cristo (v. 16), un’esperienza vissuta come un’“interiorità reciproca”: “Dio in noi e noi in lui” (cf. v. 13). E questo amore operante “coi fatti e nella verità” (1Gv 3,18) è un amore che testimonia e confessa (cf. 1Gv 4,14-16), principio di sicurezza e di libertà (v. 17-18), mediante lo Spirito che ci ha donato (cf. 1Gv 4,13 e 3,24), lo Spirito che ci rende figli di Dio (cf. 3,1-2 e che, secondo s. Paolo grida in noi: “Abbà! Padre!” (Gal 4,6 e Rm 8,15-16).

221  Questo capitolo quarto della prima lettera di Giovanni, e più generalmente l’insieme di questa lettera, merita una meditazione attenta, come uno dei testi-chiave per l’esperienza dehoniana: vita d’amore contemplativo (nn. 9-10), che si realizza nella testimonianza e nel servizio (cf. 1Gv 4,11-15), una vita la cui legge è l’interiorità reciproca (v. 16), una vita di oblazione filiale, perché come è Gesù, inviato in questo mondo, così siamo anche noi… affinché viviamo in lui, vittima di espiazione per i nostri peccati (cf. 1Gv 4,9-10).

222  La “conoscenza” alla quale siamo chiamati è evidentemente una realtà ben diversa da ciò che si acquista con lo studio: essa è il frutto della stessa oblazione, nella misura della nostra unione all’oblazione di Cristo.

2.2. Gv 15,1-17

223  È l’allegoria della vite: un testo da meditare con predilezione.

224  P. Dehon lo meditava lui stesso e lo proponeva con predilezione, come la migliore descrizione della sua personale esperienza SCJ, come il programma di quella “vita d’amore” che costituiva ai suoi occhi il tipo stesso di una vita spirituale Dehoniana (cf. Vita d’amore nel Cuore di Gesù, ed. it.) alle meditazioni: L’amore ha i suoi vantaggi (p. 97-103); Amore di confidenza e d’unione (p. 152-157), Amore puro e disinteressato (p. 164-170); Il dono di sé a Nostro Signore (p. 227-232); gli atti d’amore (p. 246-251), ove il cap. 15 di s. Giovanni è proposto come testo ispiratore.

225  Il testo è da prendere nel suo insieme, poiché la seconda parte (vv. 9-17) spiega e conferma la prima (vv. 1-8), come è dimostrato dal ritorno delle stesse espressioni e la cerniera è evidenziata nel versetto 9: “Rimanete nel mio amore”, che unisce le due parole – chiave di ognuna delle due sezioni.

226  Due grandi linee di riflessione possono essere rilevate.

227  Per la teologia dell’agape e della “vita d’amore”, nell’allegoria stessa della Vite, la comunione e comunicazione di vita e di fecondità; nel v. 9: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi” e il v. 12: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati”. Gli esegeti fanno rilevare che nei due versetti, a somiglianza delle formule analoghe in s. Giovanni, “come” (kathós) ha tutta la sua forza, non solo comparativa, ma causale, per la carità trinitaria e per l’amore cristiano: la presenza attiva dell’amore del Padre in Cristo e del Cristo in noi, secondo la legge e il principio dell’interiorità reciproca formulati al v. 4 e al v. 10.

228  Per una teologia della missione, del “carisma” della vita d’amore, alla quale il discepolo è “chiamato” e per la quale è “costituito” (v. 16)[2] per vocazione e carisma “per portare frutto” (v. 16), dimorando nell’amore, secondo tutta la forza del verbo “rimanere” (ménein) in s. Giovanni (cf. TOB/3, p. 340r).

229  Questi due testi (1Gv 4,16 e Gv 15,4), ben meditati, “con predilezione”, aiutano a dare all’espressione: “fare dell’unione a Cristo… il principio e il centro della nostra vita” (n. 17) tutta la sua risonanza teologale, spirituale e apostolica. Secondo questa affermazione del n. 17, la nostra “sequela di Cristo” non può essere solo “imitazione” di un modello, fedeltà a un insegnamento o a un programma. È molto di più: “La nostra vocazione religiosa… trova il suo significato nell’adesione piena e gioiosa alla persona di Gesù” (nn. 13-14). Per p. Dehon era l’“adesione a Cristo che viene dall’intimità del cuore” (n. 5). Per noi come per lui è l’“unione a Cristo nel suo amore per il Padre e per gli uomini” (n. 17). Il programma della nostra vita non sarà solo quello delle Beatitudini e del Discorso della montagna, ma quello proposto dai Discorsi dopo la Cena (Gv 13,31; 16,33) e dalla Preghiera di Gesù riportata al capitolo 17 di s. Giovanni.

3. Un’“interiorità reciproca

230  La grande legge della nostra vita religiosa sarà la legge dell’“interiorità reciproca”, formulata nei due testi proposti e che si ritrova anche nel capitolo 6 di Giovanni a proposito dell’eucaristia e nel capitolo 17 di Giovanni, come principio di vita dei discepoli e della Chiesa.

231  Gli esegeti pongono in rilievo questo tema come particolarmente significativo: è una legge dell’esperienza spirituale cristiana. Lo si ritrova in s. Paolo come in s. Giovanni, se si vuol dare alle espressioni della “vita in Cristo” e della “vita di Cristo in noi” tutta la loro risonanza e il loro prolungamento spirituale e anche mistico.

232  Qualunque siano le precisazioni e le sfumature delle quali bisogna tener conto, questa “legge” è supposta nel pensiero e nelle esposizioni di p. Dehon sulla “vita d’amore” e nella descrizione proposta dalle nostre nuove Costituzioni dell’esperienza dehoniana (nn. 2-5) e della nostra vita spirituale (n. 17), secondo una caratteristica che dobbiamo precisare.

233  Le Costituzioni del 1885 parlavano di “unione col divin Cuore”. Questa espressione chiariva e caratterizzava l’adesione alla “Persona del Verbo incarnato” e l’“unione a Nostro Signore”, secondo una via di accostamento al mistero di Cristo che è il mistero del “Costato aperto” e del “Cuore trafitto”. Siamo quindi chiamati a unirci, con un’“interiorità reciproca” al Cristo, nell’atto supremo del suo amore e del dono di se stesso, della sua oblazione redentrice e riparatrice: la trasfissione del costato.

234  È facile verificare, percorrendo il testo delle nuove Costituzioni, l’espressione di questa unione all’amore e all’oblazione del Cuore di Gesù: “con e come il Cristo” (n. 21), “per amare come lui in opere e nella verità” (n. 18) (cf. nn. 4, 6, 17, 18, 22, 23, 24, 26, 35). Qui è l’intenzione originale di p. Dehon e “la caratteristica propria dell’Istituto” (n. 6). Questa unione “all’oblazione riparatrice di Cristo al Padre per gli uomini” è “il servizio” che l’Istituto “è chiamato a rendere alla Chiesa” (n. 6). Perciò una giusta comprensione della natura di questa “oblazione” è indispensabile per un giusto apprezzamento della nostra “devozione al Cuore di Gesù” e di ciò che il testo delle nuove Costituzioni chiama: “nostro carisma profetico… al servizio della missione salvifica del Popolo di Dio nel mondo d’oggi” (n. 27).

4. Un’oblazione riparatrice

4.1. Nella vita e negli scritti di p. Dehon

235  Questo tema centrale dell’“oblazione” merita di essere studiato e meditato nella vita, negli scritti di p. Dehon e nella tradizione spirituale della Congregazione.

236  Per la vita e la formazione di p. Dehon si leggano le sue note di seminario (Notes Quotidiennes I-II pubblicate dal Centro Studi anche in Sinossi comparativa a cura di p. A. Vassena, scj, nel 1975-1976). Per la fondazione della Congregazione e il suo sviluppo a San Quintino si leggano i volumi delle Memorie (Notes sur l’Histoire de ma Vie) pubblicati dal Centro Studi. Per i lunghi anni di attesa, di ricerca della propria vocazione da parte di p. Dehon e della sua missione si legga: “Le P. Dehon a Saint-Quentin 1871-1877: Vocation et mission” di A. Bourgeois, scj (Studia Dehoniana 9).

237  Per il testo ufficiale delle Costituzioni del 1885 si legga: Studia Dehoniana 2 e il commento di p. Dehon ai primi novizi nei “Cahiers Falleur”, p. 82s. (Studia Dehoniana 10).

238  Del Direttorio Spirituale si leggano le prime due parti, oltre alla parte terza, par. 5: sulla “professione d’immolazione” e la parte sesta, par. 19, 20, 21: sulle virtù proprie della nostra vocazione.

239  L’oblazione è presente ovunque nella vita religiosa SCJ e le virtù, gli esercizi, le pratiche sono presentati in funzione dell’oblazione. Malgrado le apparenze, a volte, o alcune espressioni che possono sembrare un po’ riduttrici o antiquate, questa vita d’oblazione, certamente esigente, non è priva di profondità dottrinale.

240  Caratterizzando con insistenza la nostra oblazione come “unione alla oblazione riparatrice di Cristo” (n. 6), le nostre nuove Costituzioni hanno indicato e precisato per noi la via della fedeltà dinamica, per praticare la nostra oblazione come principio unificatore della nostra vita religiosa e apostolica.

241  Tutto questo nella linea di una teologia della carità, che non è solo una virtù da praticare, “la più eminente delle virtù”, secondo l’espressione del Direttorio (parte I, par. 1), ma come la via stessa di Dio, il mistero di Dio da conoscere, da accogliere e nel quale dobbiamo entrare: un mistero d’oblazione, nel quale Dio ama donando e donandosi; nel quale il Verbo ama incarnandosi, abitando fra noi, vivendo e morendo per noi. Questo è l’amore oblativo come apertura e dono di sé. È proprio dell’amore donare e donarsi: questa è l’oblazione.

4.2. Un’oblazione filiale e riparatrice

242  L’oblazione interessa e impegna il nostro essere di uomini e di cristiani, nella nostra relazione con Dio, nostro Creatore e nostro Padre, tramite e in Cristo Gesù.

243  Oblazione essenziale della creatura al suo Creatore, dell’immagine che tende a chi rassomiglia. È il “principio e il fondamento”, secondo s. Ignazio, dell’“indifferenza” ossia della disponibilità a Dio, in uno slancio positivo. È la scelta di rispondere più totalmente al suo amore e di impegnarsi nel suo servizio, secondo il fine per il quale siamo creati.

244  Oblazione filiale, di cui il Cristo, Verbo e Figlio incarnato, “Immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura” (Col 1,15), è il modello originale ed esemplare. Il Padre “ci ha predestinati a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà”. E questo “a lode della gloria della sua grazia…” (Ef 1,5-6). La nostra oblazione, non è solo un dovere da compiere; diviene l’esigenza stessa della nostra vita come cristiani chiamati a essere quello che Cristo è: figli di Dio, viventi nella piena corrispondenza alle esigenze dell’amore filiale.

245  Oblazione redentrice e riparatrice, in unione all’oblazione del Cuore trafitto del Salvatore, “nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue… secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l’ha abbondantemente riversata su di noi con ogni sapienza e intelligenza…” (Ef 1,7-8). La nostra oblazione è in noi frutto dello Spirito Santo. Lo Spirito di Cristo grida in noi “Abba! Padre!” (Gal 4,4)… “Padre… fa’ che si realizzi la tua volontà” (Mt 6,9-10)…; “Ecce, venio; Ecco, io vengo… per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb 10,7): è un’oblazione d’amore filiale, d’amore redentore e riparatore, fino all’immolazione del sacrificio, che già realizza in noi e per gli altri, nella Chiesa e per il mondo il disegno d’amore, pieno di benevolenza del Padre, per riunire l’universo sotto un solo Capo: Cristo Gesù.

246  Queste prospettive, che sono quelle della lettera agli Efesini (1,3-14), le ritroviamo in parte nelle prime tre meditazioni delle Couronnes d’amour (vol. I, Primo mistero, pp. 13-39). Tutto questo fa parte, dice p. Dehon, delle “prime basi del nostro amore al Sacro Cuore” (p. 13). Così compresa, la nostra oblazione non si riduce a pie formule né a patti o inclinazioni personali; ma s’impone in nome di ciò che vi è di più fondamentale nella rivelazione. È richiesta come un’esigenza di vita, mediante la forza stessa dell’amore, ossia dello Spirito che agisce in noi e ci assimila a Gesù Cristo nel suo amore per il Padre e per gli uomini. Non è solo un “esercizio” di pietà (atti di oblazione), ma è molto di più: è il principio vitale di tutta la nostra vita, preghiere, lavori, sofferenze, gioie (cf. n. 7); è ciò che determina la nostra “prospettiva spirituale”, è la “testimonianza profetica” che siamo chiamati a dare nella Chiesa e nel mondo d’oggi.

4.3. Un sacrificio… per il peccato…

247  La nostra oblazione è riparatrice ossia è un’unione a Cristo nel suo “amore misconosciuto”, per “riparare il peccato e la mancanza d’amore nella Chiesa e nel mondo” (n. 7). Per noi, come per p. Dehon, dalla nostra “sensibilità al peccato” (n. 4) e “a ciò che, nel mondo attuale, è di ostacolo all’amore del Signore” (n. 29), dipende la nostra comprensione della riparazione e del carattere della nostra oblazione.

248  L’oblazione di Cristo è l’oblazione del Figlio di Dio, “fatto peccato per noi” (2Cor 5,21). La nostra oblazione è quella dei figli “coinvolti nel peccato” (n. 22), solidali con il Cristo “fatto peccato” e con l’umanità peccatrice, della quale siamo membri, ed è a causa di questa duplice solidarietà che la nostra oblazione è redentrice e riparatrice.

249  Questa linea di riflessione è da approfondire, se non si vuol ridurre l’oblazione, “partecipazione alla grazia redentrice” di Cristo a una pura astrazione o a una formula pia e generosa. L’oblazione, ossia l’“offerta vivente, santa e gradita a Dio” (Rm 12,1), è anzitutto e necessariamente un sacrificio.

250  Il termine “sacrificio” (thusia) si trova nella citazione della lettera agli Efesini (5,2) (cf. n. 22) unito al termine “offerta” (prosphorà) e deve essere ben compreso, non solamente nel suo senso morale e ascetico di mortificazione – sacrificio, ma nel senso propriamente teologico.

251  P. Dehon si rifaceva volentieri alla teologia del sacrificio della Scuola francese (P. de Condren) (cf. Direttorio Spirituale, p. III, cap. V, par. 1) per le definizioni di sacrificio, di vittima, di oblazione, di immolazione – distruzione. P. Dehon ama sottolineare, quando tratta dell’oblazione, che si tratta di un’“immolazione”, di un’oblazione “in spirito d’amore e d’immolazione (o di vittima): “De spiritu amoris et immolationis”, secondo il titolo delle antiche Costituzioni (capitolo II) e consacra un numero dei suoi “Avvisi e Consigli” (il quarto) allo “spirito di vittima in unione al Sacro Cuore”.

252  Il riferimento al Costato aperto e la devozione al Cuore di Gesù secondo le apparizioni di Paray-le-Monial devono essere compresi secondo le esigenze dell’oblazione – immolazione, e qualunque cosa si pensi dei termini usati, non si può negare questa dimensione sacrificale dell’oblazione riparatrice. Il n. 24 delle nuove Costituzioni la sottolinea esplicitamente citando il famoso testo della lettera ai Colossesi 1,24.

253  Spontaneamente però, p. Dehon non si riferisce e non s’ispira al sacrificio – distruzione del Padre de Condren della Scuola francese[3].

254  L’immolazione dehoniana è l’oblazione d’amore “usque ad finem” (Jo 13,1), come quella di Gesù.

255  La nostra oblazione è unione totale all’oblazione di Cristo “che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20, cf. Ef 5,2), che dà la sua vita (cf. Gv 15,13), “come vittima d’espiazione” (1Gv 4,10); e l’“Ecce, venio” ci rimanda alla Lettera agli Ebrei, che tratta in modo particolare del sacerdozio e del sacrificio di Cristo, invitandoci a tenere “fisso lo sguardo su Gesù autore e perfezionatore della fede” (Eb 12,2). Come p. Dehon, la nostra vita nella carne dobbiamo viverla “nella fede al/del Figlio di Dio” che ci ha amati e ha dato se stesso per noi (cf. Gal 2,20). In tutto il testo delle nuove Costituzioni le citazioni e le referenze sottolineano questa dimensione sacrificale dell’oblazione: Gal 2,20 (n. 2), Mc 10,45 (n. 10); 1Pt 2,21 (n. 13); Rm 8,32 (n. 19); Eb 5,9 (n. 19); 1Gv 3,16 (n. 21 ); Ef 5,2 (n. 22); Col 1,24 (n. 24).

256  La nostra oblazione, nel “movimento dell’amore redentore” (n. 21), è la “nostra cooperazione all’opera della redenzione” (n. 23), è “partecipazione all’opera della riconciliazione” (n. 25), “al servizio della missione salvifica del Popolo di Dio nel mondo d’oggi” (n. 27). Come la “missione” di Gesù si radica nella sua oblazione, così è della nostra missione, e in tal modo diventa riparatrice e redentrice. L’oblazione sacrificale di s. Paolo, il suo “sacrificio spirituale” è anzitutto e soprattutto la sua vita di apostolo: “Quel Dio, al quale rendo culto nel mio spirito, annunziando il Vangelo del Figlio suo…” (Rm 1,9, cf. Rm 15,16). Anche noi, il nostro “carisma profetico” (n. 27) lo viviamo come “un sacrificio”, nella “prospettiva spirituale” (n. 26), che esige la nostra partecipazione “alla missione della Chiesa” (n. 26), in spirito d’amore e di riparazione, quale “culto d’amore e di riparazione” al Cuore di Gesù (n. 7).

257  La lettera Mutuae relationes del 14.5.1978 afferma che vi è “una costante storica di connessione tra carisma e croce” (n. 12).

5. Le “Vie” dell’unione

258  “Fedeli all’ascolto della Parola e alla condivisione del Pane” (n. 17; cf. At 2,42)

259  Le “vie” dell’unione sono quelle della “conoscenza”, intesa come esperienza di vita: “Conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza” secondo la lettera agli Efesini 3,19, citata al n. 17.

260  Notiamo che, riferendosi a questo testo, il n. 17 parla di “scoprire sempre più la persona di Cristo e il mistero del suo Cuore e… annunciare il suo amore che sorpassa ogni conoscenza”.

261  L’intenzione è evidente di accentuare la prospettiva profetica e apostolica di questa scoperta e di questa “conoscenza”, in pieno accordo, d’altronde, con il contesto dei versetti 7-9 di Paolo, al capitolo 3 della lettera agli Efesini, ove parla come “ministro per il dono della grazia di Dio a me concessa… di annunziare ai Gentili le imperscrutabili ricchezze di Cristo e di far risplendere agli occhi di tutti qual è l’adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio (Ef 3,7-9).

262  Le nostre nuove Costituzioni ci indicano molte “vie” di questa unione “a Cristo nel suo amore e nella sua oblazione” (n. 16), “principio e centro della nostra vita” (n. 17).

263  Al n. 17: l’ascolto e la meditazione della Parola saranno sviluppati e precisati ai nn. 76-79: “Contempliamo l’amore di Cristo nei misteri della sua vita” (n. 77) e specialmente, secondo il n. 21, nel mistero del “costato aperto” e “nella vita degli uomini”, ricercando “i segni della sua presenza” (n. 28), “attenti agli appelli che ci indirizza…” (n. 35).

264  Questa via della contemplazione ci fa progredire “nella ‘conoscenza’ di Gesù” (n. 78), “per lasciarci rinnovare nell’intimità con Cristo e unirci al suo amore per gli uomini” (n. 79).

265  Siamo invitati “all’assiduità nella preghiera” (n. 76), a riservarci “dei momenti di silenzio e di solitudine” (n. 79). Da tutto questo “dipende la fedeltà di ciascuno di noi e delle nostre comunità e la fedeltà del nostro apostolato” (n. 76).

266  La condivisione del Pane: questo tema, particolarmente importante sarà sviluppato ai nn. 80-84.

267  Si tratta della “fonte” e del “culmine” di “tutta la nostra vita cristiana e religiosa” (n. 80); si tratta del “sacrificio” nel quale “ci uniamo all’oblazione perfetta” di Cristo (n. 81), del sacramento della sua presenza ove noi approfondiamo “la nostra unione al Sacrificio di Cristo” (n. 83) e rispondiamo “all’invito di incontro e di comunione che Cristo ci rivolge in questo segno privilegiato della sua presenza” (n. 84).

268  La sofferenza… è come “una suprema e misteriosa comunione con le sofferenze e con la morte di Cristo” (n. 24).

269  Il servizio dei fratelli come disponibilità all’amore, nella quale “viviamo la nostra unione a Cristo” (n. 18) e la nostra “comunione con Cristo, presente alla vita del mondo” (n. 22), “in una solidarietà effettiva con gli uomini” alla sequela di Cristo (n. 29), con Lui e come Lui (cf. n. 21)[4].

[1] Cf. M. Denis scj, “Il Progetto di p. Dehon”, Studia Dehoniana 4, ed. it., p. 158, ove i due testi (del 1881 e del 1885) sono messi a confronto.

[2] Il verbo greco tithénai (Éthéka) esprime il fatto di affidare a qualcuno un incarico, assicurandogli i mezzi per assolverlo efficacemente… Gli apostoli sono dunque investiti, per un dono del Signore, dell’incarico di continuare la sua missione (cf. TOB).

[3] Rileviamo che il testo del Direttorio Spirituale (edizione 1908), ove si afferma che “il sacrificio è l’oblazione d’una cosa o persona, fatta a Dio con una qualche distruzione”, è di p. A. Prévot (cf. p. 12, nota 1).

[4] Nel suo commento, p. A. Carminati scj, propone e illustra, in maniera suggestiva: “Le cinque vie d’accesso all’“unione” con il divin Cuore di Gesù” (Dehoniani ’80, p. 36-37).

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